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La riffa di San Martino
ANNA LOLLA

La riffa di San Martino

di Anna Lolla
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La tradizionale festa di San Martino volgeva oramai al termine. Tra le vie del paesino si respirava ancora il profumo dolciastro di zucchero filato, frittelle e caldarroste ed echeggiavano i richiami dei giostrai che invitavano i bambini a quel nuovo giro che sicuramente sarebbe stato ricompensato dal premio tanto ambito. Con il calar del buio e del primo velo di nebbia gli ambulanti avevano iniziato a riporre nel retro dei furgoni le loro mercanzie ma la frenesia che aveva animato ogni angolo del paese non accennava a scemare, anzi: i festeggiamenti si sarebbero spostati all'interno del piccolo teatro dove l’estrazione dei biglietti della lotteria l'avrebbe fatta da padrone.

Certo non si trattava di un evento della portata della Lotteria Nazionale ma quell’anno c'era molto fermento per via dei premi eccezionalmente ricchi messi in palio grazie alla generosità del Commendator Spoletti. Nell’ultimo anno aveva dato lavoro a tanti operai del circondario aprendo un nuovo stabilimento proprio alle porte del paese e, calatosi a dovere nel ruolo di benefattore, aveva deciso di sponsorizzare anche i primi tre premi della celeberrima Riffa di San Martino: un buono spesa da 5000 euro; un soggiorno di una settimana per due persone sulla riviera romagnola; l'ultimissimo modello di smartphone che da solo valeva uno stipendio! Una vera novità per quel paesino pedemontano di ottomila anime mal contate, abituate a vedersi rifilare alla riffa solo chincaglieria varia o scarti di magazzino che i negozianti locali non riuscivano a vendere. I biglietti, neanche a dirlo, erano andati a ruba soprattutto tra gli over 65 perché, ben si sapeva, per mesi i premi tenevano banco nelle chiacchiere di paese; prima dell’estrazione, infatti, alimentavano le speranze di vincita mentre dopo l’assegnazione erano materia di commenti più o meno invidiosi o di battute sullo scampato pericolo dal portarsi a casa qualcosa di indesiderato, come l’immancabile nanetto da giardino messo in palio dal negozio del Giampiero!

Quest’anno, poi, che finalmente anche la tecnologia era arrivata a rendere appetitosi i premi, i pensionati si erano trovati coinvolti in una gara senza quartiere con uno stuolo di adolescenti, ingolositi dallo smartphone di nuova generazione, per accaparrarsi il maggior numero possibile di biglietti. Ognuno aveva la sua strategia: chi li sceglieva in base al colore, chi solo se pari o solo se dispari, chi si buttava sulla scaramanzia di cercare nei blocchetti sequenze di numeri fortunati, tipo combinazione di date, neanche stessero tentando la cinquina del lotto! Qualcuno dei “nativi digitali”, che oramai aveva messo il pollice opponibile al mero servizio dei social e non poteva lasciarsi sfuggire quel nuovo frutto proibito, ipotecava parte della “paghetta” pur di metterci sopra le mani; i ragazzini più sgamati, invece, si lisciavano i nonni per farsi sponsorizzare un acquisto in società. A divisione della spesa che comunque - si sa – sarebbe rimasta sul gobbo della nonnina di turno - anche chiara attribuzione della vincita: il telefono sarebbe stato devoluto al rampollo mentre l’eventuale vaso in vetro di Boemia sarebbe rimasto alla nonnina. Precoci imbonitori preparavano adeguatamente il terreno accompagnando le ingenue trisavole a fare la spesa al solo scopo di far posare loro lo sguardo su alcuni degli oggetti in bella mostra nelle vetrine dei negozi che sponsorizzavano la riffa: “Ma lo hai visto nonna che meraviglia quel vaso? Lo vedo già che bella figura farebbe sulla mensola del tuo salotto. Va beh, se vinci il telefono, lo tengo io che tu tanto non hai nemmeno internet e non te ne faresti nulla”.

Mancava ancora quasi un'ora all'estrazione ma la platea del teatro era già gremita. «Non si era mai visto un pienone simile!» commentavano gli organizzatori mentre posizionavano al centro del palco la grossa urna con tutte le matrici pazientemente avvoltolate in piccoli cilindri tenuti chiusi da micro-elastici. Il brusio delle signore che, strette sulle poltroncine di velluto bordeaux ancora coi cappotti addosso, si scambiavano pettegolezzi, aveva raggiunto una soglia di decibel tale da mandare fuori taratura qualsiasi strumento di misurazione.

«Luisa, ma quanti biglietti hai lì? Cos’è, sei come la Tina che ne ha comprato un blocchetto intero o sua sorella Fiamma che ne ha presi addirittura due?» diceva una. «Ma no, Fernanda. Lo sai che ho qui anche quelli di mio figlio» rispondeva l’altra arrossendo un po’ per quella mezza bugia visto che nel plico che stringeva forse solo due talloncini erano davvero del figlio. E poi, provava ad allontanare da sé l’attenzione facendola spostare su qualcun altro. «Beh. Anche la Iole non è stata da meno delle due sorelle. Tutte le volte che l’ho incontrata a fare la spesa era lì che ne comprava qualcuno, chiedendo al Rolando di darglieli buoni, però. Poi, quando quello metteva mano al blocchetto e si inumidiva il dito per iniziare a strapparli, lei gli chiedeva di passarglieli perché doveva guardarli per bene. Gli restituiva quelli rosa e se li sceglieva da sola ma tutti verdi e gialli e per giunta solo numeri dispari. Si è fatta di gusti difficili, la Iole, a stare tutti questi anni a Milano! E comunque, alla faccia della fortuna, a due a due, ne avrà comprati almeno una trentina. Qualcosa vincerà di sicuro» aggiungeva tra i sospiri, lisciando la carta dei talloncini per non sgualcirli troppo e confidando di avere lei tra le mani il biglietto da primo premio, in barba all’incetta fatta dalle sorelle Giacomini e dalla Iole!

Tre colpetti picchiettati sul microfono e il Presidente della Pro Loco, Maurizio Ghiringhelli, noto a tutti come L’Alpino, richiamò l’attenzione dell’uditorio dando il benvenuto a nome degli organizzatori, nonché dell’amministrazione comunale tutta. L’Alpino era tutto preso a snocciolare nomi di assessori quando dalla platea iniziarono ad arrivagli occhiatacce che invitavano inequivocabilmente a tagliare corto, così, esaurì i convenevoli e i ringraziamenti agli sponsor, particolarmente entusiastici nei confronti del Commendator Spoletti, e, alla buonora, si decise a invitare sul palco qualcuno dei bambini presenti per estrarre i biglietti dalla grande urna trasparente. Manine paffute e innocenti rovistavano in quel mare di carta e il Ghiringhelli, con la stessa enfasi che avrebbe avuto un banditore di Christie’s nel decretare l’aggiudicazione di un preziosissimo Van Gogh, declamava i numeri, premi abbinati e relative sponsorizzazioni. I vincitori, scavalcando goffamente i vicini di posto, si avvicendavano in processione a ritirare giochi in scatola omaggiati da “La fabbrica dello Spasso”, set vari con piatti, tazzine da caffè o bicchieri donati da “Case & Cose”, bottiglie di vino provenienti dall’Enoteca all’angolo e via di seguito facendo il giro di tutti i negozi del paese fino ad arrivare alla zona “calda” dei primi tre succulenti premi, “gentilmente offerti dal Commendator Spoletti”, come l’Alpino non mancò di sottolineare per l’ennesima volta.

Quelli che ancora non si erano aggiudicati nulla si ripassavano tra le mani i talloncini e aguzzavano la vista per vedere già il colore del biglietto ancora nelle mani del bimbo: verde. «Sì!» mormorava qualcuno. «Stavolta è mio!» in un moto di speranza che già lo portava a mettersi in punta di sedia, pronto ad alzarsi. «E per lo smartphone abbiamo il…» Pausa ad effetto abilmente studiata dal Ghiringhelli. «…721». In platea il mormorio si era zittito di colpo per accompagnare il prossimo vincitore ma, nonostante lo scricchiolio delle poltroncine, nessuno si faceva avanti. I ragazzini presenti, che fino a quel momento erano rimasti tutti assiepati in fondo alla sala a tener su le pareti tra uno sbadiglio e l’altro, adesso si facevano largo per raggiungere chi la nonna, chi la zia per far controllare bene i biglietti. Ciascuno di loro si era già gustato il film di come si sarebbe vantato con gli amici del nuovo modello di smartphone e non si rassegnava a veder andare in fumo le proprie aspettative. Il Presidente ripeté ancora una volta il numero estratto. Inutile. Il fortunato non era lì. «Vi ricordo, visto che qualcuno non è presente stasera, di far passare voce che domani verranno pubblicati tutti i numeri e i premi, non consegnati stasera, potranno essere ritirati direttamente presso la sede della Pro Loco. In accordo con gli sponsor, resteranno tutti disponibili per un mese». Detto questo, invitò il bimbo a rovistare ancora nell’urna per estrarre il biglietto abbinato al secondo premio ma anche l’ambitissimo soggiorno per due persone non trovò nessuno a riscattarlo. Un nuovo brusio si stava diffondendo e, tra le file, i presenti si guardavano l’un l’altro come se stessero facendo l’appello per capire chi mancasse all’adunata di quella sera. Non c’era certo tutto il paese eppure, qualcuno, però, iniziava a fare nome di assenti come papabili possessori di quei talloncini fortunati.

«Ma la Iole non c’è stasera? Con tutti i biglietti che ha comprato non è nemmeno venuta all’estrazione?» diceva la Fernanda sgomitando la Luisa che, in tutta risposta, ribatteva: «Te l’ho detto che oramai quella si è fatta troppo milanese. Non vorrai mica che la sciura si mescoli a noi paesani!».

L’Alpino zittì nuovamente l’uditorio e, dopo aver simulato un rullo di tamburi, prese dalle mani del piccolo un altro bigliettino: «Il verde questa sera sbanca tutto! E il 723 vince il buono spesa da 5.000 euro.» Un silenzio immobile calò sugli astanti perché, per la terza volta, nessuno si alzò. Di colpo, però, si spalancò la porta del salone e l’Umberto entrò trafelato gridando che qualcuno del paese aveva fatto sei al superenalotto. «C’è già un tipo appostato con una telecamera fuori dalla tabaccheria. Osvaldo? Dai che ti aspettano per intervistarti e magari ci dici in anteprima chi è il nostro milionario!»

La gente incominciò a guardarsi intorno e fu subito chiaro che l’Osvaldo non era lì. Di nuovo un assente illustre. I mormorii si moltiplicarono all’istante nella sala sia per i pettegolezzi che già passavano di bocca in bocca, sia per il trambusto provocato dall’im-provviso e spasmodico frugare nelle tasche, nelle borse, nei portafogli per controllare se c’era una schedina ma senza mai distogliere lo sguardo nemmeno da quello che facevano i vicini. Stavolta erano le nonne a cercare di raggiungere i nipoti per obbligarli a consultare i telefonini alla ricerca dei numeri dell’estrazione: tutti presi dai premi dello Spoletti si erano dimenticati di tenere d’occhio l’estrazione nazionale ma se con la riffa non avevano vinto niente di succulento restava ancora una chance con il Superenalotto. La folla che aveva gremito il piccolo teatro si riversò presto in strada: c’era chi si scapicollava verso casa propria a frugare meglio nei cassetti alla ricerca della giocata potenzialmente milionaria; altri andavano alla volta della ricevitoria, nonostante a quell’ora fosse già chiusa da un pezzo per provare - piuttosto che niente - a rimediare un passaggio su qualche tv locale rilasciando la propria ipotesi sul milionario che si nascondeva tra i compaesani; altri ancora si affrettavano verso casa dell’Osvaldo di cui non c’era traccia. I più se lo immaginavano già con le valigie all’aeroporto pronto a volare verso nuovi lidi: ogni volta che passava in tv la notizia di grosse vincite lui sospirava: «Ah se capitasse a me trovereste direttamente la saracinesca abbassata e chi si è visto si è visto!»

A comparire davanti alle telecamere era stato suo figlio Francesco che la ricevitoria la bazzicava solo le rare volte in cui il padre lo obbligava a dargli il cambio ma qualcuno doveva pur testimoniare che quello era un luogo fortunato e pubblicizzare il locale per aumentare gli introiti. «È vero che si tratta di una giocata singola e non di un sistema ma è impossibile dire chi possa essere il fortunato. Ha idea di quanta gente tenti la sorte?» era stata l’impacciata dichiarazione del figlio dell’esercente che si era poi defilato, telefonino in mano, a cercare di rintracciare il padre il cui numero, però, risultava irraggiungibile.

Mentre il paese si faceva intorno a Francesco cercando di carpirgli la conferma ai sospetti che il padre fosse il misterioso milionario, l’Osvaldo, ignaro di ogni cosa, si godeva la sua fuga d’amore con la Iole, stando in ammollo nelle acque termali alle pendici del Monte Bianco, a oltre 200 km di distanza da lì.

La Iole, rimasta vedova, dopo quarant’anni passati a Milano, era tornata stabilmente in paese. Aveva fatto sistemare la vecchia casa di cortile facendo installare una scala interna che collegasse i due piani dell’appartamento perché, con l’età che avanzava e le giunture sempre più scricchiolanti, non voleva correre il rischio di rompersi una gamba mentre andava dormire solo per colpa delle scale ghiacciate. E così, grazie alla ristrutturazione, il suo ritorno in paese non era passato inosservato, soprattutto all’Osvaldo che, a sua volta vedovo da tempo, aveva ripreso a corteggiarla come quando avevano vent’anni. La corte serrata aveva prodotto i suoi frutti e quando un mese prima Iole gli aveva mostrato un volantino che pubblicizzava una gita organizzata per un fine settimana alle terme, Osvaldo non se l’era fatto ripetere due volte. Capitava tutto a fagiolo perché il week end proposto sarebbe stato proprio quello della festa patronale e lui si era ingegnato a dovere sfruttando la festa di San Martino come pretesto per tutti: a quelli del comitato per l’organizzazione aveva detto che non poteva strapazzarsi perché aveva in programma certi esami di lì a pochi giorni; mentre a figlio e nuora, per convincerli  a tenere aperta la ricevitoria al suo posto addirittura per due giorni consecutivi, aveva detto di essere super impegnato con la festa e che senza di lui non ne venivano a capo.

La Iole, dal canto suo, non aveva da inventare scuse con nessuno: niente figli, niente nipoti, nessun impegno sociale. Sul tavolino all’ingresso solo qualche giornale, le bollette in scadenza e uno stuolo di origami verdi, gialli e rossi ricavati coi biglietti della lotteria e con le schedine del superenalotto. Da che era tornata in paese aveva condotto una vita solitaria e quanto più poteva lontano dai pettegolezzi – infatti nessuno si era accorto della fiamma riaccesa tra lei e Osvaldo – ed era certa che se non fosse andata alla Riffa nessuno avrebbe notato la sua assenza. A farle compagnia a casa solo Ulisse e Orazio, i due gatti soriani a cui aveva comprato un dispenser per i croccantini e una specie di fontanella per l’acqua in modo che nemmeno i “pelosetti” avessero nulla da rimproverarle se si assentava da casa un paio di giorni. Così, all’alba dell’11 novembre si era infilata i guanti di pelle, aveva indossato il cappotto e aveva raggiunto alla fermata del pullman l’Osvaldo che la aspettava con una rosa tra le mani: erano quasi sessant’anni che si immaginava il momento in cui le avrebbe offerto un fiore e l’avrebbe portata via con sé.

Ancora avvolti nei morbidi accappatoi bianchi, con una tisana fumante tra le mani, Iole e Osvaldo, si erano accoccolati a guardare la TV: facevano zapping tra un canale e l’altro sperando di trovare qualche vecchio cult con Cary Grant o magari una commedia brillante di quelle con Spencer Tracy e la Hepburn. «Ma cosa ci fa Francesco in televisione?» disse Osvaldo alzando il volume mentre al Tg un cronista commentava la vincita milionaria che di sicuro avrebbe cambiato la vita di un abitante di un paesino della provincia lombarda; in sovraimpressione campeggiavano i sei numeri estratti, ma il servizio era oramai finito. La Iole gli prese il telecomando e iniziò a cercare un altro canale che riportasse la notizia o quantomeno uno di quelli che trasmettevano le news H24 per essere certa della sestina milionaria. Osvaldo, con l’immagine di suo figlio in tv ancora impressa negli occhi, riaccese il telefonino e la stanza si riempì del suono delle innumerevoli notifiche.

«Francesco mi ha intasato il cellulare di chiamate e messaggi. Uhh Iole, quante novità ci attendono al rientro!» disse man mano che leggeva i messaggi. «Pensa, nessuno ha reclamato i primi premi della lotteria. Il 723 verde ha vinto i 5000 euro. Ma senti qua, ecco perché era in tv Francesco: qualcuno in paese ha addirittura azzeccato il sei. Ma ci pensi? Da noi non succede mai niente e un giorno che non ci siamo guarda te che cosa combinano.» Poi, adombrandosi un po’ aggiunse: «Ma se nessuno ha reclamato i premi dello Spoletti, quello, taccagno com’è, sarà ben contento di non dover sborsare neanche un centesimo! Io lo conosco bene lo Spoletti!»

«Li tirerà fuori, non preoccuparti. Ci penserò io, fidati!» disse Iole sorniona. Osvaldo non diede troppo peso a quel commento e tornò al pensiero del milionario.

«Chissà se nei prossimi giorni verrà in ricevitoria e si farà riconoscere. Starò attentissimo a tutti, sono certo che almeno con me, il fortunello si lascerà scappare qualcosa. San Martino ha proprio portato fortuna quest’anno.»

«Eh già» disse candida Iole che finalmente aveva di nuovo sotto gli occhi la sestina, «ho sempre pensato che i nostri fossero proprio dei bei numeri da giocare» e sorrise compiaciuta ad Osvaldo mentre il suo pensiero andava a tutti gli origami che la aspettavano, quieti quieti, sul tavolino all’ingresso.

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