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Menzione Speciale
Scrivendo Ancora 2022 Sez. Racconti

Daniela Conforti

con il racconto breve “Vite offese”. 

Leggi il racconto. Clicca qui.

Il giudizio della giuria

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Chi sono

PATRIZIA BIRTOLO  Laureata in lingue, insegno nella scuola primaria. Sposata, ho due figli. Nel 2006 l’esordio con Cut Up Edizioni. Partecipo da tempo a premi letterari riportando apprezzabili risultati fra cui una ventina di piazzamenti sul podio di concorsi nazionali. I miei racconti sono stati pubblicati in svariate antologie collettive. Nel 2012 è uscita la raccolta Qualcosa di rosso per le Edizioni Montag, l’opera ha vinto la sezione ‘narrativa edita breve’ al Premio Residenze Gregoriane nel febbraio ’21. Del luglio 2021 il romanzo Cime (di rapa) tempestose edito dalla casa editrice Ciesse.

Ho fatto parte della Giuria nei concorsi “Città di Sarzana” (2021) e “Passaparola” (2020-2021).

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Giudizio della giuria

Ai fini della Menzione Speciale è risultato rilevante il tema che va inserito all’interno di un contesto più ampio ossia il totale disprezzo delle multinazionali nei confronti del pianeta, della sue risorse e delle creature che lo abitano, animali ed esseri umani. Il 5G altro non è che l’ennesima innovazione tecnologica dalle oscure ripercussioni sull’ambiente e chi lo abita e che si propone al solo fine di lucro e per applicazioni ludiche non certo mediche o di sostegno a popolazioni disagiate. Ma il 5G ha anche diviso l’opinione pubblica e quindi parlarne dimostra coraggio, un coraggio che deve essere premiato e divulgato affinché il dibattito resti acceso.

Queste le ragioni alla base dell’attribuzione della Menzione Speciale.

GIUDIZIO DANIELA CONFORTI
Racconto Daniela Conforti

Racconto Daniela Conforti 

VITE OFFESE

 

No, non dirmi della vita!

Sono passati quarant’anni da quel maledetto 20 novembre 1957 e da quarant’anni sono chiusa qua dentro.

Non ero matta, ero solo fragile e stanca. La vita mi opprimeva. Una stanchezza mi annebbiava la mente, soprattutto quando vedevo che neanche mia madre riusciva a comprendere la mia ribellione nei confronti di un padre violento e spesso ubriaco.

Stanca di subire, solo questo.

La mia sfortuna è stata quella di essere la figlia femmina di un padre-padrone e come tale non mi era concessa alcuna ribellione.

Nel tempo quei dissapori tra le mura domestiche mi hanno portata a una condizione di fragilità psicologica e un banale litigio mi è costato caro, aprendomi le porte dell’internamento come “soggetto pericoloso per infermità mentale”.

Mio padre, il Signore dei miei sensi e dei miei pensieri, ha voluto questo e potrei raccontare anche altro di cui mi vergogno.

Negli anni ‘60 le leggi erano ben precise: la donna doveva sempre essere sottoposta al volere dell’uomo e solo lui poteva prendere decisioni per il suo futuro, soprattutto se figlia femmina e minorenne.

E mio padre decise per me. Io non sapevo neanche dell’esistenza dei manicomi, non sapevo neanche cosa fossero e a che cosa servissero, ma ben presto ebbi la certezza che sarei diventata veramente matta e che non ne sarei più uscita sana.

- Ti devi curare, amore mio!

Era il consiglio di mia madre ogni volta che mi ribellavo al volere del Signore mio padre…

In questi luoghi si perdeva la propria identità.

Persino le mura erano sgradevoli, mura di un edificio fatiscente lasciato morire, proprio come le anime che disperatamente ci vivevano.

Reparti separati tra uomini e donne, camerate dai soffitti altissimi; qui si disperdevano e rimbombavano voci, deliri, illusioni, amori, allucinazioni.

- Amore, amore, amorino dove sei?

- Portami via, voglio andare via da qui!

- Qualcuno mi aiuti… mi ascolti…

Qua si conviveva con mostri di sofferenze e violenze inaudite, che ti lasciavano ferite indelebili che non si cancelleranno mai, rimanendo impresse nelle fragili anime.

Come si può cancellare dalla mente un letto di contenzione?

Infermieri e medici, appena arrivata, mi circondarono e premettero il mio corpo sul letto con tutto il loro peso. Mi impedirono di muovermi. Mi legarono piedi, braccia, sguardi.

A nulla servirono le mie grida che imploravano loro di smettere. Sono stata per più di un mese immobilizzata, costretta a vivere ogni eterno giorno guardando il soffitto e respirando a malapena imbottita di calmanti.

Rimasi come in coma per tutti quegli interminabili giorni, forse per l’effetto delle terapie o per il trauma che avevo subìto. Non provavo neanche vergogna e disgusto di vivere nei miei stessi escrementi. Solo ogni tanto qualcuno mi lavava, mi toccava, mi slegava, mi carezzava.

Il manicomio era sempre saturo di odori fortissimi e nauseabondi, molti degli internati orinavano e defecavano per terra.

La paura era scomparsa e mi stavo piano piano rassegnando alla morte.

Tutto intorno sentivo urla, parole grosse, gente che rideva sguaiatamente e che piangeva, che… parlava, parlava, parlava senza un senso.

Alcuni si strappavano i capelli o si laceravano i vestiti che indossavano, rimanendo nudi per giorni come punizione.

Sola, nell’abbandono totale, chiedevo pietà.

- Aiutatemi, aiutami… la mia anima sta morendo.

Un giorno è scappato dal loro controllo un paziente. Io, stordita com’ero dalla terapia, non ricordo neanche la sua faccia. Non fu amore. Uno stupro durato pochi interminabili minuti, poi sono arrivati gli infermieri attratti dalle grida eccitate delle mie compagne di sventura.

E poi le urla sguaiate, i gesti indecenti e le risate…

Come si possono cancellare dalla mente immagini agghiaccianti, impossibili da giustificare?

Rimarranno per sempre impresse dentro, nella fragile dolcezza della mia anima.

È difficile raccontare le torture e i soprusi subìti, ma così alleggerisco il peso che mi porto dentro.

Dov’è l’umanità? Nella costrizione di docce ghiacciate, nei salassi, nelle orribili lobotomie?

Dov’è la libertà? In una camicia di forza, in un isolamento?

Nell’umiliazione delle purghe?

È questo il prezzo da pagare per tornare alla “normalità?”

E chi può essere normale dopo aver provato sulla propria pelle un elettroshock?

Mi chiedo come può, secondo loro, un essere umano tornare alla propria normalità dopo aver vissuto queste crudeltà.

- Far finta di essere sani, far finta di essere sani, far finta di essere sani.

Fui portata in una piccola stanza angusta e dall’odore terribile, odore di morte… mentre mi preparavano per l’evento, l’angoscia per l’attesa fece sì che venni travolta da un attacco di panico incontrollabile, e, con uno scatto di follia, diventai aggressiva contro il mio volere.

Mi costò una scarica senza preanestesia e orinai per terra.

Mi fecero della morfina e successivamente del curaro per bloccare gli arti in modo che non si agitassero durante le scariche elettriche.

Di quel giorno ho ancora impresso nella mente l’atroce ricordo e fu lì che credetti veramente di impazzire.

Le umiliazioni, i maltrattamenti, la disumanità che impregnano questi luoghi aumentavano la mia fragilità, abbrutendo il mio spirito e la mia mente.

Mentre da una parte provavo il disagio, la solitudine e l’abbandono dal resto del mondo, dall’altra mi sentivo protetta dall’inferno che avrei vissuto fuori da qui per i giudizi della gente, per le parole offensive taglienti, per la supponenza di chi si crede sano nei confronti di una “manicomane”.

In questo inferno è l’inquietudine per la mancanza di amore, solitudine desolante, che ti fa solo desiderare una morte liberatoria.

Solo un’anima innocente e forte può vivere nella speranza che un giorno questo delirio possa finire.

E allora me ne sto qui, seduta da sola all’ombra di questa quercia secolare, rassegnata e con gli occhi fissi nel vuoto, con la speranza di non diventare come loro… pazza!

E poi è successo qualcosa di nuovo.

Una mattina sono stata svegliata da questo torpore e riportata alla realtà da uno schiamazzio, una voce infantile che gridava e rideva a crepapelle.

- Bimbe, bimbe è primavera… svegliatevi!

Correva dappertutto, saltava da ogni parte e in un attimo un ragazzo è salito sul ramo più basso della “mia quercia.”

Era buffo vedere come lui si divertiva a fare impazzire l’equipe degli infermieri che lo inseguivano imprecando e cercando di impressionarlo con le loro minacce.

- Scendi giù, maledetto!

-Va, distruggi il male e va, Alabarda spaziale, lame rotanti, pioggia di fuoco… Goldrake!

Era Giulio, aveva circa dieci anni, solo un monello, e loro lo definivano un soggetto pericoloso per sé e per gli altri.

Era stato abbandonato lì in quanto la famiglia non poteva prendersene cura.

Era arrivato uno strano angelo a rallegrare le mie giornate.

Il personale di sorveglianza e gli infermieri lo punivano… lui scappava dal letto, saliva su per le grondaie, si nascondeva nelle siepi dell’immenso parco e in qualsiasi minuscolo nascondiglio. Lo cercavano per ore, poi magicamente riappariva.

-Va, distruggi il male e va, Alabarda spaziale, lame rotanti, pioggia di fuoco… Goldrake!

Vicino alla “mia quercia” c’era un tombino poco profondo, tappato solo per metà, e, durante una giornata di tiepida primavera, mi si avvicinò con un sorriso complice, poi scese dentro il tombino e mi sussurrò:

- Lida, fai finta di niente e digli che sono andato giù per il giardino, che mi hai visto vicino al cancello. E poi sono volato via.

Sorrisi, io non mi chiamo Lida, ma assecondai la sua richiesta.

Era divertente vedere i suoi occhi furbi che guardavano quei coglioni assatanati di vendetta per essere stati raggirati da un ragazzino di soli dieci anni.

Giulio all’inizio della sua permanenza in questo lager non aveva paura, era un ragazzino curioso e ribelle con talmente tanta rabbia dentro che esternava in dispetti continui, come se volesse farla pagare al mondo intero.

Questo suo atteggiamento lo portò ben presto a punizioni forti per la sua età.

Erano spietati.

Iniziarono a legarlo al letto, e, per farlo stare insieme agli altri, lo legavano al termosifone nel salone del refettorio.

Giulio però non ci stava e come poteva urlava, si ribellava, offendeva e così iniziarono a iniettargli calmanti.

Quando lo slegavano, mi raggiungeva barcollante. Si sedeva vicino a me sotto la “mia quercia” e si accoccolava sulle mie ginocchia. Accarezzavo i suoi riccioli neri, morbidi come sono quelli di un bambino.

- Lida, sai, io non sono mai stato amato.

Scendevano sulle sue guance lacrime di rabbia addormentate dalla terapia, le asciugava alla mia gonna e poi con il suo sorriso birbante vi strusciava il naso.

Ridevamo insieme.

Una mattina lo vidi apparire dalla vetrata del salone completamente rasato, pallido, con lo sguardo nel vuoto; barcollava, ma dedicò a me il suo sorriso sfacciato.

- Lida, ho guardato storto il nostro “elettricista capo”, il signor primario dei miei stivali, e mi sono pisciato addosso. Ha ordinato all’infermiera di insegnarmi a non farlo più. Mi hanno punito, ma mai gli darò la soddisfazione di fargli vedere che ho paura di lui!

Da quel giorno fu tutto un susseguirsi di elettroshock. Non so quanti mai gliene abbiano fatti… dai genitali, se si faceva addosso la pipì, alla testa, se si ribellava o diceva quello che pensava in modo diretto.

Lo lasciavano nel suo letto legato senza cibo, abbandonato nei suoi escrementi.

Nei giorni successivi, quando tornavano un po' di forze, perché si riprendeva presto avendo fatto l’abitudine anche all’elettroshock, veniva da me ad accoccolarsi sotto la “nostra quercia” per raccontarmi i suoi sogni futuri di quando sarebbe potuto uscire da questo inferno.

- Ti giuro, Lida, che un giorno me ne andrò. Non mi faranno morire qui questi maledetti, riuscirò ad andarmene. Non so come, ma in qualche modo ci riuscirò.

Un mattino sono stata svegliata da una confusione e uno schiamazzio inusuale, non erano le nostre voci, ma quelle agitate di tutto il personale di sorveglianza:

- Giulio non è nel suo letto, è scappato!

Sdraiata nel mio letto sorrisi stringendo nella mia mano una ghianda che aveva lasciato vicina al mio cuscino e ripresi a sognare.

 

Buona vita, Giulio!

Fine

Giudizio

Antologia Scrivendo Ancora 2022

ANTOLOGIA  RACCONTI ANCORA 2022.jpg

Nell'Antologia è presente il racconto "Vite offese" di Daniela Conforti

Autori Vari
Collana: Narrazioni
Genere: Raccolta di racconti brevi
Formato : Cartaceo e ebook
Uscita: 2022
Prezzo cartaceo : euro 17,00
Prezzo ebook:  euro 4,99

ISBN  9791280865298

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